Il mosto cotto, ingrediente tipico di diverse pasticcerie regionali, base fondamentale per la produzione dell`aceto balsamico tradizionale, medicinale magico consigliato dalle nonne e altro ancora, era tra le principali materie prime che un “cuoco diligente” doveva avere nella lista degli ingredienti essenziali secondo Marco Gavio, cuoco vissuto all`epoca dell`impero Romano di Tiberio.
Il personaggio in questione, Marco Gavio, detto Apicio, in memoria di un famoso ghiottone, nacque probabilmente attorno al 25 a.C. ed e` ricordato da Seneca e da Tacito per la sua passione per la cucina raffinata.
Anche lui, in quell`epoca di perdita di “libertas”, trovava nel piacere di elaborare e gustare il cibo un modo per godersi la vita.
A lui viene attribuita la raccolta di ricette e consigli di cucina “De re coquinaria”, anche se si dubita che sia stata scritta interamente da lui.
Secondo alcune fonti avrebbe sperperato tutti i suoi averi non badando a spese per procurarsi cibi prelibati da molte parti del mondo. Infine si suicido` bevendo la cucita, probabilmente quando si trovo` al verde. L`eccesso di vino, spesso cotto in pentole di piombo, l`eccesso di sale, aceto, pepe, l`esagerata frollatura della carne e l`uso di “salse magiche”, utilizzate per camuffare il sapore e l`aspetto dei cibi non freschi porto` come risultato un avvelenamento generale , anche della classe dirigente, che verso la fine dell` impero trovo` nei piaceri del palato e dell`amore la consolazione all`incombente perdita di potere. (notizie tratte da Introduzione ad “Apicio -l`arte culinaria” di Giulia Carazzali)
Solo i più poveri restarono sani! Loro si nutrivano di cibi semplici, prevalentemente a base di cereali e verdure.
Ricetta tratta da “Apicio- l`arte culinaria” (vedi sopra)
Si mettono 15 libbre di miele nel vaso di bronzo, dove precedentemente sono stati versati 2 sestari di vino di modo che il vino si riduca durante la cottura con il miele. Si fa scaldare su un fuoco dolce di legna ben secca e durante la cottura si mescola con un bastoncino; se ricomincia a bollire si rompe la bollitura con una spruzzata di vino…..o togliendolo dal fuoco. Quando si e` raffreddato lo si rimette sul fuoco, si procede cosi` per due o tre volte. Alla fine lo si toglie dal fuoco e lo si schiuma il giorno successivo. Allora si aggiunge 4 once di pepe tritato, 3 scrupoli di mastice, 1 dracma di foglie di nardo e 1 di zafferano, 5 noccioli tostati di datteri e datteri ammollati nel vino; si innaffia dapprima con vino di qualità` e in quantità` sufficiente affinché l`impasto risulti dolce. Compiuta questa operazione, si versi sul tutto 18 sestari di vino dolce; si metterà poi nel composto ottenuto i carboni ardenti (2 mila).
Il personaggio in questione, Marco Gavio, detto Apicio, in memoria di un famoso ghiottone, nacque probabilmente attorno al 25 a.C. ed e` ricordato da Seneca e da Tacito per la sua passione per la cucina raffinata.
Anche lui, in quell`epoca di perdita di “libertas”, trovava nel piacere di elaborare e gustare il cibo un modo per godersi la vita.
A lui viene attribuita la raccolta di ricette e consigli di cucina “De re coquinaria”, anche se si dubita che sia stata scritta interamente da lui.
Secondo alcune fonti avrebbe sperperato tutti i suoi averi non badando a spese per procurarsi cibi prelibati da molte parti del mondo. Infine si suicido` bevendo la cucita, probabilmente quando si trovo` al verde. L`eccesso di vino, spesso cotto in pentole di piombo, l`eccesso di sale, aceto, pepe, l`esagerata frollatura della carne e l`uso di “salse magiche”, utilizzate per camuffare il sapore e l`aspetto dei cibi non freschi porto` come risultato un avvelenamento generale , anche della classe dirigente, che verso la fine dell` impero trovo` nei piaceri del palato e dell`amore la consolazione all`incombente perdita di potere. (notizie tratte da Introduzione ad “Apicio -l`arte culinaria” di Giulia Carazzali)
Solo i più poveri restarono sani! Loro si nutrivano di cibi semplici, prevalentemente a base di cereali e verdure.
Ricetta tratta da “Apicio- l`arte culinaria” (vedi sopra)
Si mettono 15 libbre di miele nel vaso di bronzo, dove precedentemente sono stati versati 2 sestari di vino di modo che il vino si riduca durante la cottura con il miele. Si fa scaldare su un fuoco dolce di legna ben secca e durante la cottura si mescola con un bastoncino; se ricomincia a bollire si rompe la bollitura con una spruzzata di vino…..o togliendolo dal fuoco. Quando si e` raffreddato lo si rimette sul fuoco, si procede cosi` per due o tre volte. Alla fine lo si toglie dal fuoco e lo si schiuma il giorno successivo. Allora si aggiunge 4 once di pepe tritato, 3 scrupoli di mastice, 1 dracma di foglie di nardo e 1 di zafferano, 5 noccioli tostati di datteri e datteri ammollati nel vino; si innaffia dapprima con vino di qualità` e in quantità` sufficiente affinché l`impasto risulti dolce. Compiuta questa operazione, si versi sul tutto 18 sestari di vino dolce; si metterà poi nel composto ottenuto i carboni ardenti (2 mila).
6 commenti:
Buona Pasqua collega :-)...e cerchiamo di rilassarci in questi pochi giorni di vacanze
Complimenti,
che dire di una prof. che con grande fantasia riesce a miscelare ottime formule di matematica gastronomica.
Direbbe monsieur Vattel "degna delle migliori cucine francesi per risollevare le sorti della corona".
ad maiora sempre
peppe
good start
Si, probabilmente lo e
quello che stavo cercando, grazie
Posta un commento